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Incendi Australia: punto di non ritorno climatico

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Nessuno lo aveva previsto così presto. «E’ probabile che le foreste non torneranno come le conosciamo»

Contrariamente a quel che continua testardamente a dire il premier liberal-democratico e negazionista climatico Scott Morrison, gli scienziati affermano che stiamo assistendo a come il riscaldamento globale può spingere gli ecosistemi forestali oltre un punto di non ritorno e che,  alcune delle foreste bruciate non si riprenderanno.

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Emissioni di CO2 dovuti agli incendi

Il Mit di Boston, incrociando diversi dati, ha calcolato che da settembre 2019 gli incendi in Australia hanno immesso nell’atmosfera 400 milioni di tonnellate di CO2, ovvero quanta ne emettono ogni anno 116 nazioni tra le meno inquinanti.

Un vero e proprio circolo vizioso che porta i cambiamenti climatici ad autoalimentarsi. Questo l’allarme lanciato dalla rivista del Massachusetts Institute of Technology (Mit). Gli incendi che da settembre stanno colpendo e devastando il continente australiano – soprattutto sulla costa orientale – avrebbero già immesso nell’atmosfera 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, e cioè l’equivalente di quanta ne emettono ogni anno 116 nazioni classificate tra le meno inquinanti.

Un drastico cambiamento di habitat che non avrà ripercussioni solo sulla fauna. Come spiega Bob Berwin su Iside Climate News, «I corsi d’acqua e la vegetazione cambieranno e quando gli alberi in fiamme rilasciano carbonio e restano meno alberi vivi per estrarre CO2 dell’aria e immagazzinarla, le emissioni di carbonio aumentano. In molti modi, è la definizione di un punto di non ritorno, poiché gli ecosistemi si trasformano da un tipo a un altro».

Il cambiamento climatico in sé, non provoca incendi, ma l’aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni “convertono alberi, piante e suolo in carburante che può amplificarli” scrive il Mit, citando anche un rapporto del 2018 che spiega come l’aumento delle temperature medie della nazione di circa 1 °C influisca nel peggioramento delle condizioni degli incendi. Non solo: bruciando, molti alberi e piante rilasciano il carbonio immagazzinato nelle foglie e nei rami, azionando un circolo pericoloso che, di fatto, complica la capacità dell’uomo di intervenire.[/vc_column_text][vc_single_image image=“1659” img_size=“full” alignment=“center”][vc_column_text]C’è quindi da preoccuparsi se l’estensione dei roghi non accenna a diminuire proprio a causa della stagione secca e dei forti venti, situazione che ha fatto sì che il problema degli incendi crescesse di anno in anno. Secondo il Mit – che incrocia i dati del Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams) e di Carbon Brief (sito web pluripremiato dedicato all’analisi e alla verifica dei fatti della politica energetica e della scienza dei cambiamenti climatici) – la cifra che comprende il periodo fra settembre 2019 e gennaio 2020 è nove volte superiore la quantità di CO2 prodotta durante la stagione degli incendi in California del 2018, raggiunge la quantità delle emissioni di gas serra prodotte in Australia nel 2018, equivale più o meno alla CO2 emessa in un anno dal Regno Unito e corrisponde alla metà di quanta ne hanno prodotta in un anno tutti gli aerei del mondo che hanno volato nel 2018. Un dato allarmante, ma non è il peggiore in assoluto prodotto nel continente, che raggiunse il picco di 600 tonnellate di anidride carbonica nel terribile stagione degli incendi fra il 2011 e il 2012.

Se non cambierà rapidamente qualcosa, con gli impegni climatici presi finora dai governi di tutto il mondo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) ha avvertito che entro la fine del secolo ci saranno circa 3,5 gradi Celsius in più e la frequenza degli incendi dovrebbe aumentare su oltre il 60%. Un rapporto Ipccc del 2018 che identificava l’Australia meridionale, il Centro e Sud America, il Sud Africa e il West Usa come le aree più a rischio di incendi, ma anche l’Europa meridionale, Italia compresa è a fortissimo rischio.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Emergenza koala

A causa degli incendi in Australia che hanno distrutto milioni di ettari di territorio sono morti 8.400 koala, il 30 percento della popolazione centro-settentrionale. La specie, classificata come vulnerabile nella Lista Rossa della IUCN, è fortemente minacciata e le organizzazioni, i centri di recupero e i singoli cittadini stanno facendo il possibile per salvare il maggior numero di esemplari. Tutti noi possiamo dare un contributo per aiutare questi iconici marsupiali.[/vc_column_text][vc_single_image image=“1662” img_size=“full” alignment=“center”][vc_column_text]Tra le vittime dei devastanti roghi che stanno divorando l’Australia da quattro mesi ci sono moltissimi koala (Phascolarctos cinereus), simbolo della loro terra d’origine. In base alle stime fatte dagli scienziati sono ben 8.400 quelli deceduti lungo la costa centro-settentrionale, dove si trova il cosiddetto “Triangolo dei Koala”, incastonato tra le città di Noosa nel Queensland e di Gunnedah e Sydney nel Nuovo Galles del Sud. Quest’ultimo è lo stato più martoriato in assoluto dalle fiamme; basti pensare che qui, tra i milioni di ettari di foresta andati in fumo, sarebbero morti oltre 800 milioni di animali. La quasi totalità del miliardo calcolato dal professor Cristopher Dickman dell’Università di Sydney.

Per quanto concerne i koala, l’enorme numero di vite perdute nei roghi è pari al 30 percento della popolazione che vive nel sopracitato triangolo. Si tratta di un colpo durissimo per una specie che era stata dichiarata addirittura “funzionalmente estinta” dalla Australian Koala Foundation, benché la classificazione sia stata successivamente ridimensionata. Si stima infatti che vivano circa 70mila koala in Australia, un numero che secondo alcuni studiosi non sarebbe sufficiente ad avere un impatto ecologico significativo. Del resto, prima dell’avvento dei coloni, si ritiene che nella “terra dei canguri” vivessero ben 8 milioni di questi adorabili marsupiali, letteralmente massacrati per farne pellicce e altri oggetti da esportare in Europa. Le popolazioni, anche a causa dell’urbanizzazione, si sono ridotte dell'80 percento in alcune aree e sono dunque considerate a rischio di estinzione locale, ma per il momento la specie è classificata come vulnerabile (codice VU) nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), e non a immediato rischio estinzione.

Gli incendi potrebbero tuttavia aver avvicinato il baratro, e tutte le organizzazioni che sono solitamente impegnate nella tutela di questi animali stanno affrontando una grande emergenza. Sono tantissimi gli esemplari salvati dagli alberi in fiamme e trasportati nei centri di ricovero, come dimostrano le drammatiche immagini circolate sulla rete. Questi animali hanno bisogno di cibo, acqua, cure mediche specializzate e un lungo processo riabilitativo che un giorno dovrebbe permettere la liberazione in natura. Tutti noi possiamo dare il nostro contributo. Qui di seguito trovate le organizzazioni che permettono di adottare un esemplare a distanza con una donazione continuata nel tempo, oltre che di aiutare la conservazione della specie.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_message message_box_color=“vista_blue” icon_fontawesome=“fa fa-leaf”]Adotta un koala

Il WWF, ha un programma di adozioni per koala che potete seguire cliccando al seguente link.  L’adozione è “generica” e fa riferimento all’intera specie; l’importo devoluto sarà infatti utilizzato per programmi di salvaguardia dei marsupiali nel loro habitat naturale. Iniziativa analoga è anche quella dell’Ifaw, International Fund for Animal Welfare. Ricordiamo che il WWF Australia ha una sezione dedicata alle donazioni per l’emergenza incendi nel suo complesso; in questo modo si aiuteranno anche le altre specie coinvolte.[/vc_message][vc_column_text]Se vuoi contribuire a fermare il riscaldamento globale producendo energia pulita scrivi a info@elmecsolar.com[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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