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Tassonomia verde la sostenibilità energetica secondo l’Europa

Tassonomia verde la sostenibilità energetica secondo l’Europa

Lo scorso 6 luglio il Parlamento Europeo ha confermato la “tassonomia verde”, ovvero la lista delle attività legate all’energia considerate “sostenibili” dall’Unione Europea. Un voto definitivo arrivato dopo una battaglia politica che ha coinvolto tutto l’arco parlamentare e moltissime sigle ambientaliste di tutto il continente, perché la tassonomia verde comprende anche alcuni ambiti legati al nucleare e al gas. Stiamo parlando di un provvedimento chiave per decidere il futuro energetico d’Europa: con il termine “tassonomia verde”, infatti, si intende un elenco di dettami che concernono lo sviluppo e adozione di fonti di energia che l’Unione Europea decide di considerare sostenibili, quindi da incentivare. Una vera e propria “etichetta ufficiale”, quindi, finalizzata ad attirare investimenti pubblici e – soprattutto – privati. Al centro della contesa conclusasi con il voto dello scorso luglio c’è l’inclusione di gas e nucleare in questo elenco: “inutile distrazione di risorse per una reale transizione energetica green”, dicono gli ambientalisti. “Una lista non ideologica e che comprende tecnologie ben precise”, dicono i sostenitori, che alla fine hanno vinto.

Gas e nucleare energie green?

L’elenco viene guardato con interesse ovviamente anche da chi nel settore delle energie rinnovabili ci lavora fin dalle proprie origini, come Elmec Solar. “Il fotovoltaico è sicuramente la prima tecnologia green a cui si pensa, quando si parla di energia rinnovabile e, aggiungo, pulita" dice Alessandro Villa, amministratore delegato dell’azienda. Insieme ad eolico e idroelettrico è quella a minor impatto ambientale, ma il tema è complesso: la tassonomia verde è stata stilata considerando anche gli interessi dei paesi membri, Germania e Francia in primis, oltre ad alcuni ragionamenti legati alla tecnologia e alle difficoltà a portare avanti i progetti mirati alla transizione energetica”. Il primo tra i 6 obiettivi che la tassonomia verde si propone è proprio quello di supportare le attività economiche che abbiano il fine di mitigare il cambiamento climatico, guidando gli investimenti che verranno fatti da aziende ed enti di varia natura per aiutare il raggiungimento della “neutralità climatica”, ovvero la creazione di un sistema che non genera emissioni di gas serra. Il mondo di istituti di credito e finanza, quelli che oggi guidano lo sviluppo e le scelte dell’intero sistema produttivo e operativo, dovrebbero quindi indirizzare la propria attenzione verso chi realizza e sviluppa tecnologie più sostenibili. E allora perché non rivolgersi solo a fotovoltaico, eolico e idroelettrico?

Tra interessi nazionali e pragmatismo: il nucleare

Il punto di partenza sono gli interessi dei paesi membri. La Francia, che con la Germania di fatto guida l’Unione, da sempre è pro-nucleare. Sul suo territorio sono attive 19 centrali con 58 reattori: per i francesi includere il nucleare nella tassonomia diventa fondamentale, perché parliamo di impianti che hanno più di 40 anni di attività alle spalle, che quindi hanno un bisogno di enormi investimenti per essere manutenuti e aggiornati. A farlo c’è EDF - agenzia energetica francese - che lo stato francese intende ri-nazionalizzare, così come dichiarato dalla prima ministra Elisabeth Borne il 6 luglio scorso, che necessita di fondi europei per raggiungere gli obiettivi. Tra cui c’è quello di mantenere la posizione di leadership: con una capacità installata di circa 62 GW che la fa primo net-exporter di elettricità al mondo. La Francia, infatti, esporta energia verso tutti i paesi con cui confina: sappiamo cosa vuol dire essere in una posizione di questo tipo in un sistema che ha sempre più bisogno di energia, anzi di energia che non provenga da fonti fossili.

Non bisogna poi dimenticare gli aspetti tecnologici: le centrali nucleari già oggi vengono spesso considerate “green”, nonostante i costi ambientali del ciclo di produzione e smaltimento dell’uranio. In più, le rinnovabili hanno bisogno di complementi: pensate ad un pannello fotovoltaico, che dopo il tramonto del sole cessa di produrre energia. Le centrali nucleari restano un’opzione alternativa rispetto ai dispendiosi - anche da un punto di vista ambientale - sistemi di accumulo. L’energia atomica però, resta ad alto rischio: una fuga di radiazioni o, peggio ancora, un’altra Cernobyl causata da errori umani sono eventualità che restano possibili, nonostante l’avanzare delle tecnologie dedicate alla sicurezza e al controllo (per non parlare degli arsenali atomici che ancora esistono in una situazione geopolitica che, lo sappiamo fin troppo bene, non si può definire priva di tensioni). Ecco perché la discussione su fusione nucleare (già ritornata sul tavolo della politica dall’85 quando Gorbachev aveva proposto a Regan lo sviluppo del progetto ITER), piccoli reattori e altri progetti futuribili legati all’atomo resteranno parte del nostro futuro.

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Il gas: cosa succederà da qui a 10 anni?

E il gas? Cosa c’entra una delle principali fonti fossili con la sostenibilità? “Credo che il gas sia stato incluso nella tassonomia verde – spiega ancora Villa – perché è davvero difficile immaginare i prossimi 10 anni totalmente senza gas. È vero: il fotovoltaico ha tempi di produzione e realizzazione brevissimi (un paio di giorni per un’abitazione, poche settimane per un impianto di un megawatt destinato ad una grande azienda, se escludiamo l’iter burocratico), ma le difficoltà nel breve periodo non mancano”. La disponibilità dei componenti, prima di tutto. Celle fotovoltaiche, pannelli, inverter: ci vogliono tempi lunghi per coprire l’intero potenziale spazio che porterebbe ad utilizzare il sole come fonte predominante di energia elettrica. Ecco perché, per qualche anno, abbiamo ancora la necessità di utilizzare il gas. Sono stati inoltre fissati dei “paletti”, dei limiti, che dovrebbero evitare che il gas diventi strutturale e non si prestino le dovute attenzioni alle emissioni che genera. Non dimentichiamo poi il tema degli interessi dei paesi dominanti: un’ipotesi probabile è quella di uno “scambio di favori” tra francesi – interessati al nucleare – e tedeschi, con un settore industriale legato al gas che ha un valore importante per il loro PIL. Oltre a questo si consideri il fatto che la Germania ha riserve nel sottosuolo per circa 800 miliardi di metri cubi contro un fabbisogno di 20 per coprire un quarto di quello totale: ma bisogna estrarlo, abolire la legge contro l’uso del fracking che il governo Merkel aveva vietato. Insomma tanti ostacoli e tanti investimenti necessari, a cui i fondi europei fanno comodo.

E l’Italia?

In mezzo a tutto questo c’è l’Italia, la cui classe politica ha perso l’occasione per tornare ad essere il terzo pilastro dell’Unione Europea, ma che può ancora sperare nei suoi imprenditori, nella loro creatività, nella loro tenacia, e nella loro capacità di credere nel territorio. E di non ascoltare i pessimisti, che vedono ad un passo il collasso economico.

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